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sabato 18 Maggio 2024

Riflettori e pannelli in orbita: arriva il fotovoltaico spaziale

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Il fotovoltaico spaziale è realtà e potrebbe essere la soluzione a tutti i limiti insiti nel fotovoltaico terrestre.

I limiti insiti negli attuali sistemi di ricezione e trasformazione di energia solare impediscono di sfruttarne tutto il potenziale. A meno che gli impianti fotovoltaici non possano in qualche modo avvicinarsi al sole, per produrre in loco energia da inviare sulla Terra o per rifletterne i raggi verso i parchi fotovoltaici terrestri. Ecco le nuove frontiere del fotovoltaico spaziale.

Perché investire nel fotovoltaico spaziale?

Negli ultimi anni la produzione di energia solare fotovoltaica è diventata molto più economica ed efficiente, ma, per quanto la tecnologia possa progredire e semplificarsi, rimarranno sempre limitazioni insite nel sistema. Una tra tutte, il fatto che i pannelli solari possono generare energia solo durante il giorno, che durante le giornate nuvolose l’efficienza è compromessa e che gran parte della luce solare è assorbita dall’atmosfera durante il suo viaggio verso la terra. Se invece posizionassimo i pannelli solari al di fuori dell’atmosfera potremmo raccogliere il massimo dell’energia solare.

La luce solare è infatti in media più di dieci volte più intensa nella parte superiore dell’atmosfera che sulla superficie della Terra. Su un’orbita sufficientemente alta la luce solare sarebbe disponibile su base continua e potrebbe essere catturata nella sua interezza e trasmessa alle stazioni riceventi in tutto il pianeta, ovunque sia necessario. Il fotovoltaico spaziale è reso urgente dalla necessità di nuove fonti di energia pulita e sicura per favorire la transizione dell’Europa verso un mondo a zero emissioni di carbonio entro il 2050.

Come funziona il fotovoltaico space-based?

Il fotovoltaico spaziale poggia su decenni di ricerche che hanno prodotto diverse forme di principi di generazione, conversione e trasmissione di energia. Il più diffuso al momento è la trasformazione dell’energia solare in elettricità tramite celle fotovoltaiche in orbita geostazionaria attorno alla Terra. L’energia viene quindi trasmessa in modalità wireless sotto forma di microonde a 2,45 GHz a stazioni riceventi sulla Terra, che riconvertono l’energia in elettricità e la immettono nella rete locale.

Poiché l’energia viene trasferita in modalità wireless, sarà possibile indirizzarla alla stazione ricevente dove è richiesta, anche sulla Luna o su altri pianeti, dove una fornitura di energia disponibile aumenterebbe anche la nostra capacità di esplorare questi luoghi.

L’energia solare space-based (SBSP) si basa quindi su principi tecnologici già esistenti e sulla fisica conosciuta, senza che siano necessarie nuove scoperte. Gli odierni satelliti per le telecomunicazioni che trasmettono segnali TV e collegamenti di comunicazione dall’orbita sono fondamentalmente già satelliti che irradiano energia, anche se su una scala molto più piccola di dimensioni e potenza.

Limiti e opportunità

Per generare livelli ottimali ed economicamente sostenibili di energia solare con il fotovoltaico spaziale le strutture necessarie devono essere molto grandi, sia sulla Terra che nello spazio. Un singolo satellite di energia solare in orbita geostazionaria potrebbe estendersi per più di un chilometro, con la stazione ricevente a terra dieci volte più grande. Finora, a causa degli elevati costi di lancio, i satelliti solari non sono stati considerati economicamente competitivi con le soluzioni terrestri.

Ma i costi di lancio continuano a tendere al ribasso, rendendo tale sistema economicamente sempre più fattibile, a maggior ragione per il fatto che il risultato finale sarebbe una fonte di energia pulita continuamente disponibile e sostenibile. Un singolo satellite fotovoltaico genererebbe circa 2 GW di energia, equivalenti a una centrale nucleare convenzionale, in grado di alimentare più di un milione di case. Ci vorrebbero più di 6 milioni di pannelli solari sulla superficie terrestre per generare la stessa quantità di energia.

Si è giustappunto chiusa con successo, a gennaio 2024, la missione dimostrativa del Space Solar Power Demonstrator (SSPD-1) della Caltech University, lanciato in orbita proprio con l’obiettivo di dimostrare che è possibile produrre energia grazie al fotovoltaico spaziale per poi trasmetterla a terra.

I riflettori solari

Ma il fotovoltiaco spaziale non è l’unico metodo per aumentare la capacità della terra di sfruttare l’energia solare. Un altro metodo per aggirare i limiti climatici e atmosferici è tramite l’utilizzo di riflettori spaziali. A orbitare intorno alla Terra in questo caso non sarebbero dei pannelli fotovoltaici ma dei pannelli riflettenti i raggi del sole, che indirizzerebbero questi ultimi a terra. Si tratta di strutture leggere, sottili, piatte, che viaggerebbero a un’orbita bassa con l’obiettivo di illuminare determinate aree per qualche ora in più al giorno.

Sono anni che si studiano le costellazioni di riflettori spaziali, prima con l’obiettivo di illuminare le città più a lungo, ora con quello di sfruttare la luce guadagnata per produrre energia elettrica dal fotovoltaico. Per raggiungere lo scopo è però importante individuare la giusta orbita e la giusta inclinazione.

Nell’ambito del progetto SOLSPACE, Onur Celik e Colin R. McInnes, ricercatori dell’Università di Glasgow, sembrano aver trovato un algoritmo che determina la costellazione più efficace per massimizzare al mattino presto e alla sera tardi la luce solare aggiuntiva riflessa verso i parchi fotovoltaici. I riflettori sarebbero posti a 1.000 km di altitudine con orbite circolari polari e quasi polari sincrone al sole, vicine alla zona crepuscolare. Secondo i loro calcoli 20 riflettori disposti in tal modo potrebbero aumentare la produzione fotovoltaica di 728 MWh al giorno.

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