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giovedì 7 Novembre 2024

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Web3 e blockchain: il futuro di internet

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Non è un caso che l’utilizzo della parola NFT (non-fungible token) sia cresciuto dell’11mila% nel 2021, spingendo il dizionario Collins a premiarla come parola dell’anno. Ma nella top 10 figurano anche “metaverso” e “crypto”, entrati nel linguaggio comune e mainstream a partire dall’etere delle nuove frontiere web. E nelle criptovalute sono stati investiti nel 2021 27 miliardi di dollari, preparando il terreno per la rivoluzione digitale del secolo: il Web3, basato sulla blockchain.

Il nostro futuro si giocherà sempre più online e l’innovazione digitale è perciò il settore in procinto di fare i passi avanti più significativi. Il Web3 promette agli utenti di renderli davvero protagonisti delle sorti di internet, creando un ecosistema digitale che tutti possono contribuire a creare e in cui tutti possono guadagnare, naturalmente grazie alle cryptovalute. Dov’è la fregatura?

 

Cos’è il Web3

Una rete internet a blocchi, decentralizzata ed estremamente sicura e partecipativa, proprio come la blockchain su cui si basa: ecco la natura del Web3 (o web 3.0), disgregazione del web 2.0 che utilizziamo oggi. Il Web1, quello degli anni ’90, era costituito da pagine di siti relativi ad aziende, realtà, temi appartenenti ai più disparati settori che gli utenti potevano semplicemente fruire, senza interagire tra loro. Il Web2 ha invece permesso a tutti di diventare creator di contenuti e di interagire. I social sono l’emanazione più efficace di questa nuova modalità di vivere la rete, che ha tuttavia permesso che pochi giganti, quasi tutti concentrati nella Silicon Valley, monopolizzassero il settore e con esso le vite degli utenti.

L’obiettivo principale del Web3, termine coniato non a caso dal fondatore di Ethereum Gavin Wood, parrebbe perciò quello di combattere questa centralizzazione del potere, sovvertendo il meccanismo con cui internet lavora. Basta pubblicità e abbonamenti, ad alimentare la nuova economia digitale diffusa sarà la partecipazione stessa degli utenti, resa possibile dalla struttura blockchain e dalle criptovalute. Ogni computer diventerà esso stesso un data center, rendendo inutili i servizi e le intermediazioni dei colossi e molto più sicuro lo stoccaggio dei nostri dati.

 

Il Web3 esiste già

Sono già decine i progetti attivi o in fase di sperimentazione in ottica Web3. C’è il cloud di Filecoin, che non ha sede nel data center di un colosso, ma negli hard disk del computer degli utenti che avranno deciso di affittarne una parte, dietro compenso in criptovalute. Ma anche l’esperimento di Reddit, che vuole permettere ai membri di possedere un pezzetto della community di cui fanno parte. Come? Guadagnando Community Points in base ai post pubblicati e ai voti ricevuti e aumentando così il loro potere decisionale rispetto alla gestione della piattaforma. C’è il social decentralizzato BlueSky o la piattaforma per creare scommesse garantite Augur. E ancora DeFi, per la finanza decentralizzata, e GameFi, per guadagnare giocando ai videogiochi.

Queste DAO (Decentralized Autonomous Organizations), che sfruttano le criptovalute per incentivare la collaborazione degli utenti, non però ancora inserite in un unico sistema. Esistono già, ma come progetti sconnessi, non ancora integrati nella rete 3.0. Servirà innanzitutto un browser, come Brave, che già utilizza la criptovaluta Bat per remunerare chi decide di vedere la pubblicità e i siti che decidono di ospitarla. Oppure Opera, che ha un portafogli in cui custodire le criptovalute.

 

Perché sì, perché no

Gli utenti saranno insomma motivati a partecipare alla definizione di questo nuovo ecosistema a suon di criptovalute, potendo contribuire in prima persona a costruirlo o addirittura diventando proprietari di un suo frammento. Un futuro utopico o distopico a seconda delle prospettive. La domanda che dovrebbe sorgere spontanea a questo punto, infatti, è: conviene davvero agli utenti impegnarsi in prima persona nella costruzione di una nuova rete in cambio di un po’ di privacy in più e solo qualche barlume di possibilità di guadagno? Il futuro prospettato dal Web3 è certamente utopico per i fanatici di criptovalute, NFT, blockchain e simili. Ma per le persone normali il gioco potrebbe non valere la candela, trasformandosi in una distopia digitale.

La rete di oggi, infatti, è decisamente semplice da usare. Inoltre, non prevede un particolare carico di responsabilità decisionale da parte dell’utente, non richiede di esporsi a livello economico e contiene tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Certo, è monopolizzata da colossi che sanno praticamente tutto di noi, ma per molti questo non è un reale problema. Almeno non barattabile con una maggior sofisticazione del mezzo più semplice che possediamo per fare e sapere (quasi) tutto.

Le potenzialità del Web 3.0 sono comunque evidenti e nulla vieta che possano svilupparsi in quest’ottica progetti partecipativi che convivono pacificamente con il Web 2.0 e i suoi player. Sempre che riescano a chiarire alcuni punti oscuri che sembrano poterne compromettere l’efficacia dal punto di vista pratico ed etico.

 

Le critiche al Web 3.0

I detrattori e i dubbiosi rispetto al Web 3 sono tanti quanti sono i suoi sostenitori, rendendo l’argomento particolarmente polarizzato. Vengono innanzitutto poste questioni pratiche di funzionamento ed efficacia. Per esempio, per mantenere alto il valore delle criptovalute sarà necessario conservare un regime di scarsità artificiale. Una condizione ai limiti dell’assurdo per sistema che fa dell’infinità dei contenuti a disposizione la sua forza. Se desidera crescere all’infinito come il web 2.0, invece, il web 3.0 dovrebbe assumerne le stesse forme centralizzate, cioè il nemico da combattere.

Per non parlare di tutti gli svantaggi connessi a una rete decentralizzata, che ben evidenzia il programmatore Stephen Diehl: «chi pagherà perché i data center globali accolgano i contenuti? Gli avvocati di chi risponderanno per la violazione del copyright? Chi bannerà gli account nazisti? Quale soggetto eliminerà i contenuti pedopornografici? Chi ripristinerà la password della nonna quando la dimentica?».

Oltretutto, come si potrebbe pretendere di mantenere decentralizzata una rete che ha già tra i suoi finanziatori il fondo Andreessen-Horowitz e simili? Lo sottolinea Jack Dorsey in persona. Tra gli illustri detrattori c’è anche Elon Musk, che lo ritiene vuoto marketing. Bisogna aggiungere, sulla scorta della campagna “Keep the web free, say no to Web3”, che il modo in cui viene presentato il Web3 è molto semplificatorio ed entusiastico, mentre per conoscerne il reale funzionamento sarebbero necessarie competenze tecnologiche e finanziarie notevoli. Incoraggia, insomma, un’asimmetria informativa.

Ma il Web3 è anche una minaccia ambientale, dato l’impatto energetico della blockchain, che richiede un’elevatissima potenza di calcolo, con effetto boomerang. All’aumentare degli eventi climatici estremi, infatti, aumenteranno anche le probabilità di interruzioni del servizio.

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